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Roberta Valtorta. Intervista di Claudia Santeroni

“Gentile Claudia, le mando una foto della mia gatta, che ora non c’è più, che stava sempre vicina a me e ai miei libri mentre lavoravo.
Può andar bene?
Grazie a voi!
Roberta”

Da cosa scaturisce il suo interesse per la Fotografia? Ricorda un aneddoto particolare legato alla nascita della sua fascinazione, oppure una curiosità relativa ai suoi primi approcci con la Fotografia?

Ho incontrato la fotografia per caso, si può dire. Non per scelta nè per passione, come è accaduto a molti. Forse per questo il mio impegno è andata avanti negli anni: perchè ho scoperto la fotografia per caso e poi l’ho conosciuta piano piano. Mentre frequentavo l’università e portavo avanti i miei studi di storia dell’arte, ho risposto a un’inserzione del “Corriere della Sera”: si trattava della rivista “Progresso fotografico” che cercava qualcuno che sapesse di redazione, grafica, con cultura umanistica e conoscenza dell’inglese. Ero io. Siamo nel 1976. Mi sono trovata all’improvviso dentro la fotografia, e nella migliore rivista del momento. Non sapevo nulla di fotografia, anzi la fotografia mi sembrava poca cosa rispetto alla storia dell’arte che parallelamente studiavo. Presto, grazie alla qualità della ricerca che la rivista andava facendo, capii che la fotografia era qualcosa di importanza. Decisi dunque di laurearmi su un tema riguardante la fotografia. La mia tesi in Storia della critica d’arte, discussa con la mia cara maestra Marisa Dalai Emiliani,  tratta di fotografia, tempo, memoria. In redazione lavoravo con Attilio Colombo, Alberto Piovani, Roberto Salbitani, Giuseppe Bonini. Venivo a contatto con fotografi importanti non solo italiani, ma anche europei e americani, vedevo fotografie originali che hanno costruito la storia della fotografia, avevo a disposizione una biblioteca strardinaria, collaboravo a numeri monografici molto importanti per quegli anni. Ecco, ho iniziato così. Poi, per problemi interni alla casa editrice, nel 1983 ho lasciato la rivista (e anche la rivista “Zoom” prodotta dallo stesso editore, alla quale anche collaboravo) e ho iniziato a insegnare al Centro Bauer, poi anche all’università a più riprese, a curare mostre, a collaborare con editori e riviste, e poi a collaborare a progetti di committenza pubblica (era il tema delle istituzioni quello che più mi interessava), fino ad arrivare ad Archivio dello spazio, dal 1987 al 1997, che ha portato alla creazione del Museo di Fotografia Contemporanea del quale oggi sono direttore scientifico.

Quali sono le letture, più o meno inerenti alla Fotografia, che l’hanno maggiormente colpita o influenzata nel suo percorso?

Mi sono formata negli studi di storia dell’arte: Panofsky, Hauser, Arrnheim, Gombrich, Argan etc. Lo stesso Freud e gli psicologi dell’arte. Poi, sul versante del cinema e della fotografia, McLuhan, Kracauer, Benjamin, Barthes, ma anche Eco, Bourdieu, Sontag, e poi i nostri Bertelli, Miraglia, Vaccari, per me molto importante, poi Krauss e poi veniamo ai giorni nostri. Però importanti sono stati Levi-Strauss, Baudrillard, Virilio, Touraine, Augé, Baumann, Fiorani e gli attuali teorici della comunicazione della società contemporanea. Ma anche scrittori come Proust, Calvino, Perec, Handke, per fare solo qualche esempio.

Esiste un filo conduttore che veicola la sua ricerca storico-critica?

Lo spero! Ho cercato di studiare quali aspetti fanno della fotografia un’arte, e quali aspetti della fotografia hanno via via contribuito a destrutturare l’arte contemporanea. Sono poi molto interessata al grande lavoro che i fotografi hanno fatto nell’indagare il rapporto uomo-paesaggio contemporaneo, anche in senso sociale e civile.

Produce anche una ricerca fotografica personale?

No, assolutamente, faccio solo foto ricordo.

Molti sostengono che la ricerca fotografica italiana abbia avuto il suo apice in L.Ghirri e che dopo abbia subito una battuta d’arresto: è’ d’accordo?

Nella ricerca fotografica italiana del secondo Novecento ci sono stati più apici: uno è Ugo Mulas, che ha posto fine al reportage tradizionale, uno è indubbiamente Luigi Ghirri, che ha rilanciato in avanti la fotografia italiana aprendola a nuove criticità (accanto a lui Guido Guidi, Gabriele Basilico, Mario Cresci, Mimmo Jodice, un vero fronte culturale). Ma abbiamo anche un Paolo Gioli, isolatissimo, che rappresenta il fronte della commistione pittura-cinema-fotografia a livello molto alto, un personaggio che la storia riscoprirà.  Oggi non c’è una battuta d’arresto: tutto lo scenario dell’arte è cambiato, non ci sono più grandi maestri ma una sensibilità e un’intelligenza diffusa, legata alla comunicazione, alla condivisione, alla partecipazione. Non si parla del resto di “morte dell’autore”?

Ritiene oggi esista, in Italia, un gruppo di autori ascrivibile ad una corrente, oppure solo singole personalità?

No, non ci sono correnti. Ci sono personalità sparse, situazioni, gruppi. non c’è più possibilità di correnti nell’arte contemporanea.

Ha un sogno nel cassetto relativo al mondo della Fotografia?

Il mio sogno è sempre lo stesso: dopo aver lavorato a farlo nascere e dopo averne orientato le strategie culturali, salvare il Museo di Fotografia Contemporanea che è in grave crisi, riuscire a contribuire a dargli un nuovo più giusto destino. Se ce la farò, potrò dirmi contenta del mio operato. Il nostro paese non può non avere un vero museo di fotografia, o di fotografia e arti tecnologiche, ormai.

Claudia Santeroni

 

http://www.mufoco.org/

Immagine © Roberta Valtorta

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