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© Olga Vanoncini

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EXTRACT 3 | Olga Vanoncini

… se si trattasse di un’altra persona, forse esordirei dicendo che è difficile scrivere a proposito di un’amica, un po’ come quando guardi una fotografia, e riconosci un tuo caro: si finisce sempre per concentrarsi sull’espressione o l’abbigliamento, senza poter valutare l’assetto complessivo dell’immagine, perché la nostra attenzione è calamitata da quel che riconosciamo. Essendo invece questo testo dedicato ad Olga, questa constatazione non è valida. Se è infatti vero che è un’amica, come artista l’ho conosciuta dopo diverso tempo che avevo giornalmente a che fare con lei. Impegnatissima nel lavoro, puntuale  e precisa, molto loquace e sempre a contatto con le persone, nel contesto lavorativo in cui ci siamo conosciute non ha però esternato immediatamente che, parallela a questi impegni ufficiali, esiste un’intensa vita d’artista che accompagna da sempre la sua quotidianità. E’ infatti dedita alle arti visive con costanza dalla fine degli anni ’90, ha partecipato a diverse mostre collettive e personali con una ricerca che comprende la serialità, il collage, il disegno, la fotografia ed il monocromo. Quando siamo impregnati di qualcosa, che lo si dichiari o meno, quel che abbiamo dentro stilla però in maniera spontanea. Ed è così che, senza sapere fosse dedita alle arti visive, ho sempre considerato Olga un’artista inconsapevole delle sue giornate. Piccoli particolari di lei rivelano un’enorme propensione al bello, dove per bello intendiamo la cura di quelle sfumature di noi che ci rendono speciali. Dettagli che sono invece elementi distintivi della nostra personalità e del nostro modo di stare al mondo. Scampoli di tende diventano ornamenti preziosi per le maniche di un cappottino bianco, comperato in negozio dell’usato a Tel Aviv. Anelli e collane di gusto retrò adornano silenziosamente abiti di sfumature tenui. Camicie con colli in pizzo o seta, ricami e bottoni dorati. Collane di perle nascoste dentro ad involucri di stoffa, gonne a balze. Piccolezze che concorrono a definire questa persona, che a volte mi pare approdata da un’altra epoca.
Una ricerca artistica altrettanto accurata si compone attorno ad Olga Vanoncini. Un canonico percorso post liceo l’avrebbe incanalata verso università d’altro stampo, ma opta per l’Accademia di Belle Arti, individuando l’arte come il contesto che più le si confaceva in quel momento della sua esistenza, contenitore adatto a rielaborare esperienze personali che faticava a gestire. Come tutte le persone che l’Arte nella loro vita non l’hanno in realtà scelta, ma ci si sono ritrovate avviluppate senza neanche sapere come fosse accaduto, senza alcuna possibilità di decidere, così Olga parlando del suo percorso intreccia esperienze di vita a scelte professionali, privato con pubblico, senza poter tracciare un netto confine fra i due aspetti. E’ infatti l’Arte quel genere di linfa che alcuni hanno insita, altri no. Per chi l’ha, l’Arte non potrà mai essere una professione o una finalità, ma sarà come la voce, che viene da noi ma ci abita anche: altro, ma allo stesso tempo indissolubile.
Gli anni dell’Accademia sono caratterizzati da una profonda riflessione sull’arte preistorica, le origini dell’arte come traccia umana, che è stato anche il tema della tesi. L’indagine sul figurativo, e soprattutto al volto umano, si rintraccia in un lavoro del primo anno di studi, per poi essere ripreso solo dieci anni più tardi. Dopo un’estate intensa, in cui conosce moltissime persone, visita la Biennale di Venezia, Art Basel, Skulpture Projekte e Documenta, traduce questo periodo animato in un’installazione che ha come fulcro lo studio del volto umano. Appende i ritratti ad un albero, e li illumina con delle candele, contenute in vasetti di vetro. Per Olga si chiude un cerchio: ritrova un tema con cui per anni confrontarsi era stato troppo doloroso, ma la cui rielaborazione era stata resa possibile dal tempo trascorso e dal filtro dell’Arte. Sono anni in cui frequenta l’Università di Filosofia a Milano e lavora sia come assistente di Stefano Arienti allo IUAV di Venezia sia come editor per varie case editrici. Idea Picnic, un plaid con disposti sopra dei suoi collage di immagini fotografiche, raccolte ed archiviate nel tempo. L’intento è quello di invitare a fruire comodamente del lavoro, creando un momento soffice in cui si possa entrare fisicamente in contatto con l’opera, permettendo allo spettatore di superare la sua condizione ed accedere a quella di partecipante – partecipato.
Forse dovrebbe essere la bravura di chi scrive quella di saper anche descrivere, ma io non ne sono capace. Quello che invece mi interessa e desidero, è raccontare il contesto in cui i lavori si generano, piuttosto che offrirne una definizione. Invece dei prodotti finiti, mi affascinano le modalità creative, le varie via attraverso cui l’arte dipana da chi ne è abitato. Sedute su un divano bianco bevendo tè, io e Olga continuiamo la nostra conversazione guardando libri e disegni: testi che sono stati fonti della sua ricerca, disegni che forse si trasformeranno in lavori, oppure rimarranno appunti.  Fra quelli che mi mostra, due libri che mi piacciono molto sono quelli dei giardini e dell’arredamento d’interni.  Quando si ha un background di teoria metabolizzato, e si possiedono occhi che traboccano immagini, ci si rapporta al visibile, anche quello in apparenza più lezioso, con un bagaglio che proietta delle luci diverse su quello che si sta vedendo, cogliendone aspetti impalpabili. Da un anno è impegnata nel progetto Le Cosmos d’O, blog nel quale raccoglie scatti eterogenei di materiale tratti suo orizzonte visivo: self portrait, pagine di libri, dettagli d’ambienti, paesaggi. Sono rimasta estremamente colpita da tutte le serie, di disegni o fotografie, cui si è dedicata, soprattutto quelle contenute nelle scatole, costruite artigianalmente. I contenitori sono stati provvisti al loro interno, sul fondo, di sorte di cuscinetti, pieni di cotone idrofilo. Sono opposti che collimano, e si fondono armoniosamente in un unico organismo: all’esterno rigide ed essenziali, internamente tenui e leggere. Sono i segreti delle scatole, simili a quelli che ti possono riservare le persone che vivono nell’arte.

Claudia Santeroni

Olga Vanoncini, artista visiva, nasce nel 1978 a Bergamo (Italia), dove vive e lavora. Studia Pittura all’Accademia Carrara di Bergamo e Filosofia all’Università degli Studi di Milano. Dopo lunghe esperienze di didattica universitaria (IUAV Venezia, IULM Milano), dal 2012 insegna Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia  di Brescia.
Dal 2013 sviluppa il blog Le Cosmos d’O su
http://lecosmosdo.tumblr.com/
Tra i progetti e le mostre: nel 2014 workshop per il progetto internazionale Pinksie The Whale; nel 2011 residenza Atelier d’Artista a Gambassi Terme e Montaione (Firenze), partecipazione al workshop WAITING ROOM a Careof DOCVA Fabbrica del Vapore Milano; nel 2010 collettiva presso Galleria Contemporaneo Mestre (in collaborazione con archivio Sottobosco) e performance per il progetto 1 h art a Step09 art fair Milano; nel 2009 talk alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e collettiva presso Art Raw Gallery New York; nel 2003 personale presso Galleria OLIM Bergamo.
www.olgavanoncini.com

Immagini © Olga Vanoncini

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