Da una intervista con Benedetta Alfieri
L’immagine è realtà autonoma dentro la realtà tutta, anche quando non parte dal mondo esterno di riferimento. Mediante il digitale si possono realizzare immagini percepite come “vere” proprio perché riconducono alla rappresentazione di tipo fotografico, pur non essendolo affatto. Nel caso di queste opere si parte da un’acquisizione di dati, la fotografia realizzata, per poi elaborarli con il comando "riempi in base al contenuto". I pixel generano altri pixel e, se non usiamo l’effetto per la sparizione dell’inconveniente fotografico, la risposta è imprevedibile, aperta ad infinite varianti perché l’algoritmo, tornando indietro ripetendo la stessa operazione, ogni volta differenzia leggermente il calcolo.
Si può azzardare che esiste un momento alla Cartier-Bresson, quando l’elaborazione sembra compiersi nella forma giusta, è istante, accadimento.
Visto così, il software diviene un Luogo, l’immagine, un Essere. Avrà una storia, finché tenuta in vita, nutrendosi di se stessa.
In fondo, i metadati di uno scatto, non sono le generalità di una nascita?






