Da una lettera a Nicoletta Leonardi,
24-05-2004

Il mio intendimento è lavorare sull’ospedale cercando di restituire un senso “antico” di quei luoghi. Vorrei accentuare l’abbandono di spazi e abitudini lavorative attraverso un tipo di immagine densa e dilatata come fosse una foto d’epoca. Una sorte di processo accelerato di invecchiamento, come se fossero documenti storici e lontani. Vorrei aumentare la distanza percettiva fra quello che è stato e quello che sarà.

Ho individuato alcuni spazi: la sala della riabilitazione fisica con tende bianche e mobili in legno, veramente bella. Il reparto radiografie, luogo delle lastre, della luce radioattiva, della fotografia!
Le scale e i corridoi vecchi dove la luce naturale filtra e si confonde con quella artificiale delle lampade circolari che appaiono come occhi.

Per adesso ho in mente i loro camici bianchi chiari e luminosi, come in certe vecchie fotografie dove la figure emergono avvolte da una sorta di aura. Un po’ come le immagini di De Clerambault sulle vesti marocchine, comunque ipotizzo qualcosa più vicino ai classici che a tanta fotografia contemporanea.

Vorrei ne venisse fuori anche l’ospedale come luogo della “cura”, anche in senso spirituale, come se il passaggio dolore/guarigione portasse a una purificazione più che corporale.
Legare “cura” e “fotografia” mi affascina molto.