Dal testo per Idea di Metropoli,
Silvana Editoriale, 2002
Vedere con vista immaginativa.
Uno sguardo che non vuole osservare, ma "visione interna". Questo tentativo ha un altro intendimento: andare oltre l'immagine ottica del mondo. Un pensiero che può sembrare tradire la natura stessa della fotografia, il suo legame con la rappresentazione del visibile, con la capacità di produrre vero/somiglianza.
Non è unicamente l'Uomo/Fotografo che, guardando, mette in moto la visione, essa è già presente, si trasmette sempre e comunque come potenzialità. L'altro da noi, ci vede altrettanto, per cui siamo, allo stesso tempo, vedenti e veduti, in una relazione di reversibilità dello sguardo che attesta la presenza di ogni essere e cosa al mondo.
In questo intreccio di sguardi, tutto fa macchia su tutto. Anche Lee Friedlander, quando introduce la sua ombra all'interno dell'inquadratura, sembra ricordarcelo. Tutta la fotografia tesa in questa direzione, nel porci l'interrogativo della natura della visione, al di là di ogni soggettività consolatoria dell'autore o tema trattato, può ricordarcelo e lo ha fatto, nelle sue espressioni maggiori.
Fra vista immaginativa e rappresentazione, utopia e realtà, visibile e invisibile (il sentire, il sensibile, il sogno) l'Uomo/Fotografo è un passante, già da sempre atteso da sguardi preesistenti.













