Dal testo di Roberta Valtorta,
Echo, Damiani, 2007
Il lavoro che Signorini compie in Echo è quello di immaginare il mondo e cercarne le ragioni.
Il risultato visivo “espone” il percorso interiore dell’autore attraverso alcuni elementi importanti: principalmente il senso di vuoto e lo spostamento dei colori dal registro della “realtà” a quello dell’immagine, nel vero senso della parola. “Fra vista immaginativa e rappresentazione, utopia e realtà, visibile e invisibile (il sentire, il sensibile, il sogno…) l’uomo-fotografo è un passante già da sempre atteso da sguardi preesistenti”, scrive a lato di una ricerca, Senza titolo, che possiamo considerare l’immediato precedente di Echo. E dunque individua il colore e le sue variazioni come campo di delicata azione indirizzata a quella zona della nostra percezione che dialoga con l’immaginario.
Scrive Simon Schama: “Riconoscere il fantasma di un paesaggio antico sotto il rivestimento superficiale del contemporaneo significa toccare con mano la sopravvivenza dei miti di base”. E in effetti il paesaggio che Signorini propone nonostante appaia vergine, come si diceva, non lo è affatto, se non talvolta: è invece carico di scritture umane, segni, tracce. Sembra significare una storia che è già stata scritta ma, forse, se riconsiderata, potrebbe essere nuovamente e diversamente vissuta e scoperta, come in un gioco di bambini, come in una caccia al tesoro.


















